domenica 9 gennaio 2011

Cartoline dai morti


La letteratura è un dialogo con i morti, asseriva Giorgio Manganelli, nel senso che la si scrive, non solo per coloro che sono stati vivi, con cui si continua il dialogo in assenza, ma anche, e soprattutto, per coloro che tra poco non lo saranno più. Uno scrittore cinquantenne, afflitto da un’inguaribile ipocondria, Franco Arminio, poeta e paesologo , abitante a Bisaccia, in Irpinia, ha deciso di fingersi morto, come succede a ogni vero ipocondriaco, e di scriversi delle cartoline indirizzate a se stesso, in cui ogni singolo defunto racconta le cause e i modi della sua morte:Cartoline dai morti. Cartoline perché si tratta di poche righe, a volte un paio, secche e compendiose come quelle frasi che si scrivevano sul retro di foto dei paesaggi. Qui però c’è solo lo spazio bianco, mentre l’immagine della città, del paese, del monumento, della chiesa, non si vede, forse perché tutti questi morti che scrivono sono membri del medesimo luogo, appartengono tutti al Paese dei Morti, che comincia poco oltre le nostre città. Così i casi della vita, gli innumerevoli destini, scorrono sotto i nostri occhi, con accenti che vanno, seppur nella brevità e concisione, dal tragico al comico, dal sarcastico al malinconico, dal patetico al depressivo. La tastiera di Arminio, in questo che è il suo breve capolavoro, è variabile, e insieme ripetitiva, per quanto nessuna vita somigli all’altra: la diversità come sintesi dell’umano. Il destino coglie i morenti in situazioni strane, paradossali; oppure no: nella perfetta normalità del vivere. Tutti si ricordano di sé nell’atto di passare da viventi a trapassati. In verità, tutte queste 127 vite sono la medesima vita, vista da 128 punti di vista differenti, la vita di Arminio. Arminio è il poeta del nostro sconcerto quotidiano, poeta in prosa del nostro affondamento progressivo.

Marco Belpoliti

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