giovedì 26 gennaio 2012

Nati per leggere


Amare la lettura attraverso un gesto d'amore: un adulto che legge una storia.
Ogni bambino ha diritto ad essere protetto non solo dalla malattia e dalla violenza ma anche dalla mancanza di adeguate occasioni di sviluppo affettivo e cognitivo. Questo è il cuore di Nati per Leggere. Dal 1999, il progetto ha l'obiettivo di promuovere la lettura ad alta voce ai bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 6 anni. Recenti ricerche scientifiche dimostrano come il leggere ad alta voce, con una certa continuità, ai bambini in età prescolare abbia una positiva influenza sia dal punto di vista relazionale (è una opportunità di relazione tra bambino e genitori), checognitivo (si sviluppano meglio e più precocemente la comprensione del linguaggio e la capacità di lettura). Inoltre si consolida nel bambino l'abitudine a leggere che si protrae nelle età successive grazie all'approccio precoce legato alla relazione.
Nati per leggere, è promosso dall'alleanza tra bibliotecari e pediatri attraverso le seguenti associazioni: l'Associazione Culturale Pediatri - ACP che riunisce tremila pediatri italiani con fini esclusivamente culturali, l'Associazione Italiana Biblioteche - AIB che associa oltre quattromila tra bibliotecari, biblioteche, centri di documentazione, servizi di informazione operanti nei diversi ambiti della professione e il Centro per la Salute del Bambino - ONLUS - CSB, che ha come fini statutari attività di formazione, ricerca e solidarietà per l'infanzia.

mercoledì 11 maggio 2011

'Noi credevamo' trionfa alla 55° edizione del Premio David di Donatello


Nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il più premiato dall’Accademia del Cinema italiano è un film che racconta gli anni delle lotte violente, delle repressioni sanguinarie, dei grandi ideali e delle amare delusioni, che portarono alla nascita della nazione: ‘Noi credevamo’ di Mario Martone.
Nel discorso tenuto alla presenza del Presidente della Repubblica, durante l’incontro che precede la cerimonia di consegna, il regista napoletano ha affermato: «niente più del Cinema in Italia ha saputo dare l'idea della straordinaria articolazione di differenze che formano il nostro Paese. L'Italia unita è stata sognata dai poeti e per essa si sono battuti dei ragazzi. È dunque un sogno di apertura, di vitalità, di democrazia. Il cinema italiano, cosi suoi mille meravigliosi volti di attrici e di attori, di questo sogno è come se fosse lo specchio».
Premiato come miglior film,‘Noi credevamo’ ha ottenuto anche le statuette per le Acconciature (Aldo Signoretti), per il Trucco (Vittorio Sodano), per i Costumi (Ursula Patzak) e per la Scenografia (Emita Frigato), che hanno reso possibile dar vita a questo imponente affresco dell’Italia risorgimentale.
Sette i premi in totale, ai già menzionati si aggiungono quello per la miglior sceneggiatura (Mario Martone e Giancarlo De Cataldo) e per il miglior direttore delle fotografia (Renato Berta).
Il presidente della giuria Gianluigi Rondi ha assegnato anche un David speciale ai 150 anni dell’unità d’Italia, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

venerdì 28 gennaio 2011

A Roma una mostra celebra la maison Gattinoni















Il Museo Boncompagni Ludovisi ospita dal 28 gennaio al 28 febbraio 2011 una mostra dedicata a Fernanda Gattinoni e ad alcune delle sue migliori creazioni: abiti, che al di là del proprio intrinseco valore artistico, possono leggersi come le pagine di una storia piena di fascino, quella della Hollywood sul Tevere, la Roma della Dolce vita, meta d’obbligo del jet set internazionale.
La mostra Fernanda Gattinoni. Moda e stelle ai tempi della Hollywood sul Tevere, curata da Sofia Gnoli, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (dalla quale il Museo Boncompagni dipende) e con il patrocinio della Provincia di Roma, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma e di AltaRoma, descrive il rapporto tra la grande sarta italiana e alcune tra le maggiori dive degli anni Cinquanta e Sessanta, e dunque il rapporto tra moda e Cinema, come potenti strumenti di comunicazione.
Fernanda Gattinoni (1907 – 2002) fonda la maison nel 1946 e tra i primi abiti da lei disegnati c’è un tailleur di velluto verde per Clara Calamai. L’atelier diviene presto il salotto dell’aristocrazia romana e delle dive del cinema. Tra le clienti della maison di via Toscana, Anouk Aimée, Ingrid Bergman, Lucia Bosé, Bette Davis, Marlene Dietrich, Rossella Falk, Audrey Hepburn, Gina Lollobrigida, Anna Magnani, Kim Novak, Lana Turner e Monica Vitti. Ma anche Golda Meier, Giulietta Masina, Mimise Guttuso, Jackie Kennedy, Margareth d'Inghilterra, Eva Peron (che indossò un abito Gattinoni per essere ricevuta da Papa Pio XII nel 1947).
L’archivio storico Gattinoni racchiude oltre 400 modelli, tra questi sono stati scelti 24 abiti indossati da cinque autentiche icone: Ingrid Bergman, Lana Turner, Kim Novak, Anna Magnani e Audrey Hepburn.
La mostra prevede un percorso che si apre con gli abiti del guardaroba privato e i costumi di scena dei film 'Europa 51' (1952) e 'Fiore di Cactus' (1969) realizzati per Ingrid Bergman (per l’attrice madame Gattinoni disegnò anche gli abiti di 'Stromboli' e 'Viaggio in Italia'), prosegue con alcuni abiti privati di Lana Turner, affezionata cliente di Fernanda Gattinoni fin dal 1953, quando giunse a Roma per interpretare 'La fiamma e la carne' (1954). Al centro della mostra l'abito nero in raso a sirena con scollo all'americana in pizzo macramè e un grande fiocco dietro, indossato da Kim Novak , a cui Gattinoni dedicò la collezione Casanova (1958). Infine, quattro ‘petites robes noires’, provenienti dal guardaroba personale di Anna Magnani, la diva più difficile, secondo madame Gattinoni, «Insofferente ai fitting – racconta Stefano Dominella, direttore creativo della maison -, a volte insopportabile. Non aveva pazienza. L'importante per lei era che il vestito fosse nero e molto stretto in vita». In mostra anche l'abito in moirè di seta avorio con inserti decor in velluto nero, scelto dalla Magnani nel 1951, per la presentazione del film 'Bellissima', diretto da Luchino Visconti.
Alla più capricciosa delle dive, Audrey Hepburn, è dedicata una sezione speciale dove è possibile ammirare gli abiti realizzati per 'Guerra e pace' di King Vidor (1956), per cui Fernanda Gattinoni ottenne la nomination all’Oscar per i costumi (la prima volta per una stilista d’alta moda), e che lanciarono la moda ‘impero’, attraverso la collezione ‘Natasha’, dal nome del personaggio interpretato dalla Hepburn. Per lei Gattinoni firmò gli abiti di un altro film, 'Capri love me', lanciando la moda dei pantaloni capresi, che la grande attrice non abbandonò più.
A completare la mostra, foto, documentari della maison e scene tratte dai film, in cui questi abiti furono indossati per la prima volta, facendo sognare milioni di spettatori.
La mostra giunge a Roma dopo essere stata ospitata dall’Istituto di cultura italiana di Parigi (città particolarmente cara a madame Gattinoni, che aveva cominciato a lavorare proprio lì, presso la maison
Molyneux), e nel corso dell’anno sarà allestita anche a Berlino, Napoli e Modena.

in alto: abito indossato da K. Novak per la prima del film 'Picnic'(1956), abito di A. Hepburn in 'Guerra e pace' e infine abito di I. Bergman in 'Europa 51'


Fernanda Gattinoni. Moda e stelle ai tempi della Hollywood sul Tevere.
Museo Boncompagni Ludovisi, via Boncompagni 18, Roma
da martedì a domenica dalle 8.30 alle 19.00
Ingresso libero

venerdì 14 gennaio 2011

Personaggi allo specchio. Manlio Rocchetti.


Nasce a Roma, in una famiglia il cui nome è legato al Cinema da generazioni: il laboratorio di parrucche Rocchetti (Premio speciale Chioma di Berenice 2004), fondato nel 1874, è un simbolo dell’eccellenza italiana.
Terminati gli studi liceali, Manlio comincia a frequentare il laboratorio di famiglia, decidendo, tuttavia, di dedicarsi al trucco cinematografico, un po’ per caso, dando una mano allo zio Goffredo, Truccatore, e apprendendo così i primi rudimenti del mestiere. Il suo esordio al Cinema è legato al film “Le streghe”(1967), in cui lavora all’episodio diretto da Pier Paolo Pasolini, con Totò, Ninetto Davoli e Silvana Mangano, che ritrova sul set di “Teorema”(1968), sempre di P. P. Pasolini.
Negli anni Settanta collabora con registi del calibro di Federico Fellini e Roberto Rossellini. Nelle pellicole di Fellini è chiamato a realizzare un Trucco sempre molto marcato, che esprima visivamente la forte caratterizzazione dei personaggi felliniani. Con Roberto Rossellini lavora ai film per la TV, come “Agostino d’ Ippona”(1972) e “L’età di Cosimo de’ Medici”(1973).
Nel 1984 prende parte al capolavoro di S. Leone “C’era una volta in America” con Robert De Niro, di cui diviene il truccatore personale per “Gli intoccabili”(1987) di B. De Palma, pellicola in cui lo trasforma in Al Capone, con un lavoro di preparazione di nove settimane.
Sul set di “Hotel Colonial”(1986) di C. Th. Torrini, conosce Robert Duvall, che in seguito lo chiama a lavorare in America, dove rimarrà a lungo e con successo. Ma il 1986 è anche l’anno de “Il nome della rosa” di J. J. Annaud, con Sean Connery, film in cui l’impegno maggiore per il truccatore è quello sul personaggio di Salvatore, interpretato da Ron Perlman, giunto sul set ad un giorno dall’inizio delle riprese: un’intera notte di lavoro per l’applicazione delle protesi.
Con “L’ultima tentazione di Cristo”(1988) inizia la collaborazione con Martin Scorsese, che proseguirà con “L’età dell’innocenza”(1993) con Daniel Day Lewis e Wynona Rider, “Al di là della vita”(1999) con Nicolas Cage, “Gangs of New York”(2002) con Daniel Day Lewis, Leonardo Di Caprio e Cameron Diaz, e “Shutter Island”(2009), sempre con Di Caprio.
Nel 1989 con “A spasso con Daisy” di B. Beresford, Rocchetti ottiene il premio Oscar. Il film, magistralmente interpretato da Jessica Tendy (Oscar come miglior attrice protagonista) e da Morgan Freeman, racconta quarant’anni di storia di una famiglia e dell’intera società americana, attraverso il rapporto tra Miss Daisy e il suo autista di colore. Nello stesso anno Rocchetti riceve un Emmy per la serie TV “Lonesome dove” di S. Wincer.
Seguono “Il principe delle maree”(1991) di e con B. Streisand, “Ricordando Hemingway”(1993) di R. Haines, con Shirley MacLaine e Robert Duvall, “Two bits”(1995) di J. Foley e “L’avvocato del diavolo”(1997) di T. Hackford, con Al Pacino, “Blood and wine”(1996) di B. Rafelson, con Jack Nicholson.
Nel 1999 ottiene 'La Chioma di Berenice' alla carriera.
Nel 2005 lavora al film di A. Lee “I segreti di Brokeback Mountain” con Heath Ledger, e l’anno dopo a “Tristano + Isotta” di K. Reynolds e “Tutti gli uomini del re” di S. Zaillian. Per la TV realizza “L’ultimo dei Corleonesi”(2007) di A. Negrin, “La figlia di Elisa – ritorno a Rivombrosa”(2007) di S. Alleva e “Einstein”(2008) di L. Cavani.

domenica 9 gennaio 2011

Cartoline dai morti


La letteratura è un dialogo con i morti, asseriva Giorgio Manganelli, nel senso che la si scrive, non solo per coloro che sono stati vivi, con cui si continua il dialogo in assenza, ma anche, e soprattutto, per coloro che tra poco non lo saranno più. Uno scrittore cinquantenne, afflitto da un’inguaribile ipocondria, Franco Arminio, poeta e paesologo , abitante a Bisaccia, in Irpinia, ha deciso di fingersi morto, come succede a ogni vero ipocondriaco, e di scriversi delle cartoline indirizzate a se stesso, in cui ogni singolo defunto racconta le cause e i modi della sua morte:Cartoline dai morti. Cartoline perché si tratta di poche righe, a volte un paio, secche e compendiose come quelle frasi che si scrivevano sul retro di foto dei paesaggi. Qui però c’è solo lo spazio bianco, mentre l’immagine della città, del paese, del monumento, della chiesa, non si vede, forse perché tutti questi morti che scrivono sono membri del medesimo luogo, appartengono tutti al Paese dei Morti, che comincia poco oltre le nostre città. Così i casi della vita, gli innumerevoli destini, scorrono sotto i nostri occhi, con accenti che vanno, seppur nella brevità e concisione, dal tragico al comico, dal sarcastico al malinconico, dal patetico al depressivo. La tastiera di Arminio, in questo che è il suo breve capolavoro, è variabile, e insieme ripetitiva, per quanto nessuna vita somigli all’altra: la diversità come sintesi dell’umano. Il destino coglie i morenti in situazioni strane, paradossali; oppure no: nella perfetta normalità del vivere. Tutti si ricordano di sé nell’atto di passare da viventi a trapassati. In verità, tutte queste 127 vite sono la medesima vita, vista da 128 punti di vista differenti, la vita di Arminio. Arminio è il poeta del nostro sconcerto quotidiano, poeta in prosa del nostro affondamento progressivo.

Marco Belpoliti

domenica 12 dicembre 2010

Il linguaggio dei capelli


Nella comunicazione non verbale, che coinvolge ogni parte del corpo, i capelli, in virtù della posizione strategica che occupano nel corpo, posti sopra la testa, così da essere sempre ben visibili, giocano un ruolo fondamentale: ci dicono se la persona che abbiamo davanti è maschio o femmina (in base alla loro lunghezza), se è giovane o anziana (in base al colore), qual è la sua condizione sociale, la sua professione o addirittura il suo stato d’animo. Ma tutto ciò è possibile solo in conseguenza del fatto che i capelli, come tutto il nostro corpo, sono un elemento culturalizzato: noi interveniamo su di essi modificandoli nelle maniere più varie (tagliandoli, arricciandoli, colorandoli, decorandoli) sempre in ossequio a regole sociali e li interpretiamo sulla base di quelle stesse regole. Ad esempio, in molte società la scelta degli uomini di portare i capelli corti corrisponde ad una volontà di integrarsi e, al contrario, i capelli lunghi sono il segno della volontà di sottrarsi ad ogni controllo sociale (gli hippy degli anni ’70 sono un esempio di ribellione alle regole della società).
I capelli e il modo di acconciarli esprimono, dunque, l’identità dell’individuo nella società, il suo ruolo. Così nell’antico Egitto le acconciature caratterizzano lo stato sociale (i membri delle classi più elevate si radevano i capelli e indossavano le parrucche) ma segnano anche il passaggio dall’infanzia all’età adulta (il taglio del codino, che contraddistingue l’acconciatura dei bambini, segna il passaggio all’età adulta). Anche in Grecia il taglio dei capelli, e la loro consacrazione alla divinità, simboleggia la fine della fanciullezza.
Nelle società moderne i ruoli sociali sono molto meno rigidi rispetto al passato e così può accadere che, nel corso della loro vita, le persone assumano condizioni diverse o che giochino più ruoli contemporaneamente. L’acconciatura dei capelli segue quasi sempre questi cambiamenti e muta, rimanendo sempre specchio fedele di ciò che siamo o che vorremmo essere.


Sandro Botticelli,
Ritratto di Simonetta Vespucci
(1480 - 1485 circa)
Tempera su tavola, 82x54 cm
Francoforte, Stadel Museum